Jean Francois Millet, La semina
(da Santo Atanasio, La semina del sole, Editrice Bose Giesse, Barrafranca, 1997)
(1986 - 1994)
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Pace
Sospeso aroma di un’azzurra luce
(formicolio di polline a mezz’aria)
sopra i pascoli miti della sera
(sera mite di marzo).
Lontanante
spianarsi delle cime di calcare.
La parola ora tace.
A fior dei laghi
dell’orizzonte una colomba scivola
leggiadra verso i cuori solitari
a ricolmarli di divina pace.
29 marzo 1986
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Alla collina d’aprile
Felice te, d’aprile,
collina
che scricchioli di luce
e vibri di un èden di suoni!
A te
giù giù fino a valle ricade
in pieghe croscianti di aromi
una tunica lieve
di raso
verde screziato d’iride.
Più pigra la sera discende
la soffice maestà delle tue ànche,
mentre l’opale
della luna s’incide
nella Boemia blu
dei cieli.
La notte,
se schivi la carezza
dolce degli occhi
che t’amano sorgivi,
quali colombe
di sogni a frotte sciogli
nel sonno di chi lungamente,
prima di addormentarsi,
agita, in petto,
un fazzoletto!
E scudisci di sole
schiocca il mattino
a fior della tua veste
umida di rugiada,
cu cui, oblique, impazzano
puledre di speranze.
Felice te, d’aprile,
Collina,
divinità solare
in esilio fecondo tra i mortali!
Aprile 1986
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Innocenza
Nell’acquario d’aprile affiora, illesa,
da stagioni segrete, abissi ciechi,
i vergini mattini. Splende... poi
mi sguscia via — perché mi venga incontro
non so né cosa la richiami ai pozzi
d’oscurità. Cade con echi lunghi
e vulneranti il mio silenzio... — Dunque
vive? era lei? non ha requie? Innocenza!
24 aprile 1986
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N.d.A.: Al v. 7, «vulneranti»: acuti, dolenti.
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Poesia
Non so
da che incolume dove
mi ridi e mi trafiggi...
Alba e tramonto,
coraggio di ruscello
e batticuore d’autunnale foglia,
aroma e assenzio dell’ignoto, insieme,
freschi da respirare eternamente,
racchiude la tua rosa —
Poesia.
28 aprile 1986
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Lei sola vera
Un tempo io fui già fanciullo e fanciulla, arbusto,
uccello e muto pesce che salta fuori dal mare.
(da un frammento di Empedocle)
Eccolo al varco della primavera
riemergere in grazia il paesaggio —
il cielo sboccia in luce e nel lontano
àlbica di un frastaglio di monti, nevati le cime;
un filo di vento bisbiglia
a fior dei lampi d’erba della valle,
nei rami s’impiglia e farfuglia;
esulta la gazza, svolando
nella mitezza limpida dell’aria
che di mortella e di magnolia odora...
Tu, mentre affondi in questo tripudio di sole gli sguardi,
d’un tratto pensi (e di speranza il cuore
inaridito ti s’inebria) lei
che non può più venire (e ti rabbui),
lei, festosa la ciocca di capelli sugli occhi,
sparita in un groviglio di nuvole e barbagli...
Che le somiglia qui ed in quest’ora
formicolante è il paesaggio... Lei
c’era una volta, c’era in piena luce...
E forse là rifulge nel grembo solare di un dio,
forse di là dal tempo ti attende, illesa — lei
la sola vera, la tua grazia soltanto.
1989
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Notturno con visione
Notte d’estate.
Ricolma di luna.
Lucida prugna è il fogliame e fa tenero
il fianco alla montagna...
Lei d’un tratto
è in cima ai miei pensieri. Lungamente
l’ammaliano altre notti di velluto...
In ogni fratta il grillo alacremente
lima l’argento dei raggi di luna...
Lei, lucciola tra lucciole, con gloria
prende a nuotare in mezzo ad alte ariste
glauche di luna...
Una scintillazione
è il cielo e invita a lunghi voli...
Allora
tutto era levità nelle sue iridi
e prodigio. Volava lei mai sazia
con grandi ali d’airone...
Notte chiara
d’estate. In questa luce splende, vaga
e pacifica, lei —
la mia stagione
breve e lontana, che tutta ho goduta
intatta da ombre, opulenta di sogni.
Mandrazze (Castelbuono), agosto 1990
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Al paese natio
Come frutta un buon seme
così mi cingono le braccia aperte
del tuo nome — io lontano.
1990
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«Rêverie»
Come frutto su ramo sugge il miele
che dagli archi del cielo stilla adagio,
così, sospeso in fissità di assenze,
il cuore gode ancora dei lievi pensieri d’amore
scomparsi, uccelli in fuga, tra azzurre trasparenze...
Bruciano i sensi — la ragione gela,
alla segreta attesa di un prodigio,
che casta in me rinasce da sì chiaro stupore.
Giugno 1993
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Clara guarda la vite settembrina
Mia figlia Clara
di quattro mesi e mezzo
guarda meravigliata
ridere a grappoli
frusciando agli àsoli
la vite settembrina.
Lei ha negli occhi tutta quella gioia
e nient’altro — ché ignora
come in quel tremolio
di pampini leggero
trascorra la tristezza
dell’uva vendemmiante.
Mandrazze (Castelbuono), settembre 1990
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N.d.A.: All’ultimo verso, «vendemmiante» (eco di U. Saba — cfr. L’ora nostra, nel Canzoniere, v. 23: «meglio la nostra vendemmiante età»): (per enallage) che è sul punto di essere vendemmiata, quindi matura, autunnale.
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Pleniluni con Rachele
Dorme la notte. Silenziosa piove
un’acquerugiola di luce glauca,
mentre la luna con fruscio di seta
transita lenta a fior di fronde intente...
Era la notte equorea. E c’eri tu,
furtiva, in un magato dormiveglia:
eri in ascolto delle note d’oro
che, a una a una, scandivano i cieli,
alleluiando al plenilunio mite...
Ogni ombra palpita di meraviglia.
Di rose un fiato va per l’aria tiepida
ed il silenzio stellato, con arte,
modula flauti d’inviti a sognare...
Sembrava un sogno... ma giungesti, o figlia,
come un’allegoria di lievità,
con il brillio della tua bianca ala
e i trilli acerbi delle iridi liete:
e, ignoto favo stillante di miele,
la notte ti fu dolce, o mia Rachele...
Ferma è la notte che sei nata, e splende
nella diafanità del tuo visino,
o vita mia, stupefazione mia,
o pura verità di cherubino
che in lunga veglia d’amore mi tieni...
Mandrazze (Castelbuono), estate 1991
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N.d.A.: Rachele, mia secondogenita, è nata alle 0,30 circa del 27 maggio 1991.
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Alle mie figlie Clara e Rachele
Primaverile palpita il mio cuore
e versi d’aria modula facondo —
per gli occhi enormi e tutti lampi gai,
che voi dintorno avventurate, o care.
3 febbraio 1992
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Segnale di allarme
E in una pozza
di sangue radioattivo
giacque la Storia.
2 maggio 1986
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La semina del sole
Tempi di oscurità.
Tempi di gelo.
Chi ascolta la parola del poeta?
Forse nessuno.
O solo quei ventuno
tra puri e peccatori,
occhi-di-voli-astrali e cuori-di-erba,
che come lui
con lieti affanni − strenui lottatori −
sono dietro alla semina
del sole.
7 maggio 1986
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«Carità d’una voce mi consuma...»
Ungaretti
Il deserto tra noi
via via disargina.
Frattanto
altaleniamo
tra nonsenso e attesa.
Oh la voce di Ovidio:
«Os homini sublime dedit»
− vecchia
di due millenni,
fresca
di verità −,
auspica un tempo dove
l’amore
fiorisca,
festante di ognuno.
13 maggio 1986
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N.d.A.: «Os homini sublime dedit» (Ovidio, Metamorfosi, I, 85): «(Dio) diede all’uomo un volto sublime (ossia rivolto al cielo)».
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Lei
a Giuseppe Mazzola Barreca
Alfredo Mario La Grua
Rosario Di Liberti
Aldo Mazzola
Volano alte ghiandaie, nell’azzurro...
Quel fluido andare la lusinga, prima —
dopo l’avvince...
E prende a farsi aerea,
torna a emulare il sole — lei terrena
tribolazione, che mai ci ha lasciati,
lei tacita maestà nerovestita,
che ci passava accanto e ci sfiniva —
noi furbi, miscredenti, noi caproni,
carogne e miserelli...
E un canto scioglie,
ghiandaia che spicca il volo,
una semenza
di fiore liquido disparge in noi —
lei orizzonte fatto d’innocenza,
lei musica maestà biancovestita,
che passa in mezzo a noi,
solare e lieve...
e ci santifica — lei
la parola.
1989
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N.d.A.: I dedicatari della poesia sono poeti, e tra i miei amici castelbuonesi più cari.
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Ottativo
Accogliere vorrei
a uno a uno
tutti quei bocci di virtù,
tremanti,
abbandonati dalle loro madri
orripilanti.
Accoglierli vorrei
con braccia-cantilena e fresche tempie,
finquando nel barlume di un mattino
non li vedessi schiudersi
lietamente alla vita.
16 agosto 1990
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N.d.A.: Esiste l'ignominia dell'infanzia abbandonata. Esiste incredibilmente (e interminabilmente?).