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Claude-Monet--Impression.-Soleil-levant--1872.jpg

Claude Monet: Impression, soleil levant (1872)

 

(da Santo Atanasio, Opali, Castelbuono, Edizioni «Le Madonie», 1994)

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Sterpi

 

 

OpaliSterpi, voi neri

silenzi dell’inverno,

voi, sterpi,

scabri odori di assenze,

foste la verde levità canora

sospesa ai lapislazzuli dei cieli,

e foste il sogno che svanì dagli occhi

appena emersi alla sua luce di acqua.

 

Sterpi, voi fragili

sussulti delle pozze,

voi, sterpi,

basalti d’inquietudine,

oh siete il sangue delle mani d’erba

dei suoi sguardi: non stanche di accattarvi 

per un falò che accenda la mia notte.

               (1983 - 1985)

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Verginità 

 

 

Verginità, luce rappresa un giorno

nella gola riarsa di questi occhi,

ora che la montagna rade i cieli

e un pastello di aromi è la campagna,

io cerco nelle fratte dei silenzi

− dove non so come cadesti schiava −

di udire un fil della tua voce bianca

che tinga d’oro le pupille morte...

Ma forse là respiri nell’immenso:

qua la natura — una radura l’anima.

 

 

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Wanda 

 

 

Pacifico mattino e fiume blu,

di prima estate...

 

Biancovestita, Wanda

− sogno d’oltralpe −

venne per me

sul Ponte Vecchio...

 

E fui la voce che dipinse il mare

e l’ombra verde d’isola lontana

nei suoi grandi occhi di giacinto assorto...

 

Di Wanda

mi rimase l’odore di lavanda

rappreso all’uniforme di soldato,

finché l’Arno nel vento di settembre

non si tinse d’inchiostro...

 

Pacifico mattino e cielo blu,

come di prima estate:

 

io − isolano − a ricordare Wanda,

lei − non so dove −

la spero ad ascoltare la mia voce...

 

 

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Viuzza 

 

 

Il giorno scende. E la sua luce cuprea

ai muri del paese si rapprende.

 

Una viuzza sghemba tace: ascolta

il cielo lievitare di rintocchi...

 

E, come i fuochi radi la scandiscono,

odora di festiva fanciullezza:

 

alle ragazze si arrotonda il fianco

e i pomi vegeti dei seni esplodono

 

alle carezze dei virili sguardi,

vocia ogni selce scricchiola di vita...

 

Molto più tardi, la viuzza glauca

di un bisbiglio di vento si commuove:

 

presenza imponderabile dei morti,

di chi guarda soltanto di lontano...

 

Alla fine, la polvere negli occhi

e il cuore costellato, si addormenta.

 

____

N.d.A.: VIUZZA: è, a Castelbuono, lo stretto budello di via Umberto I.

 

 

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Estate 

 

 

Divampa Estate:

                           i nudi sensi al sole,

delle acque la goduria blu cobalto

a un tuffo dagli scogli,

                                    e c’innamora.

 

 

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Acquerello d’estate 

 

 

Agli àsoli

palpita l’ombra

verdecupa dei greppi,

e intorno

se ne disperde largo

il pruno degli odori.

 

Tra i luminosi

archi dei cieli,

leggieri

ricami d’ali e gorghe.

 

Lontano,

pensili sulla paglia

delle dolci colline,

le acque azzurrine

delle montagne

e il mare,

a delta rovesciato.

 

Acquerello d’estate,

qual ingenuo stupore —

dopo il gelo, da allora!

 

 

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Speranza

 

 

Tu sei lucida arancia —

                                       e alta la neve...

Grano il tuo sole: il grano del mio pane

(ah la clava nodosa del digiuno!):

il mio pane di sempre

                                   sono i sogni.

 

 

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Febbraio 

 

 

Bianca, la nudità della montagna

stacca la povertà di rami, nera.

 

Là, di nebbia avvinghiata,

vive la valle

solo per un’insonnia

di campanacci, fioca.

 

Febbraio:

altura di silenzio

pensile sopra l’ombra del passato,

sull’inquietudine

delle orme di domani.

 

 

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La fuga individuale o la catena 

 

                                                Non so se il riso o la pietà prevale.

                                                                             Leopardi

 

I

Da spini d’incertezze

schivo parlare

di approdi o di cammini soleggiati

di pace.

 

II

(L’ottimista che fui

si perse dentro un dedalo di vicoli,

quando la parossistica difesa

contro le scorribande,

in petto, dell’asserto:

«La fine segue sempre a ogni inizio

e il viceversa

non vale o è rara avis per il sogno»,

fu crivellata

dall’urlo intollerante di uno specchio).

 

III

Già dall’alba il mio giorno prende il rancido.

 

IV

Sulla pagina bianca a quando a quando

tento di articolare

la nausea

che ingromma le mie vene

(è la nausea di tutti in tutti i tempi,

il magma

che dalla estraneità

e il nonsenso del mondo

scorre scorre vischioso ed avvolgente,

finché non si consolida nel cuore

tramutandone i bocci delle attese

in rocce):

se accade che ci riesca,

respiro da un’altana d’illusione

il poco azzurro d’isola che il tempo

fino ad ora non ha obliterato.

 

V

Ma un filo di telegrafo un lamento

raggela la mia fuga

o l’illusione della fuga — dice:

«Non lasciarmi nel buio

dove dalla memoria prima o poi

cade l’azzurro...

su! tendimi una mano».

 

 

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Stagionale 

 

 

Vento riottoso. Piante autunnescenti.

 

Eccoci biascicare

l’assenzio di un congedo così lento

(noi dalle cellule

ancora dolci di colline e monti

infiorati di verde),

 

ed ascoltare

in cavi vegetali

gli echi di una lontana trenodia

in fieri

(quella che il mare rotola

sui ciottoli lunati della costa),

 

e accarezzare

lungamente con gli occhi

l’intorno —

 

frattanto che si sfoglia

la rosa stagionale del paesaggio,

sotto la luce

rantolante del sole.

 

 

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Contrasto 

(a 2 voci)

 

La vita è un mulinare di tristezze,

una cortina d’ombre che infittisce giorno a giorno,

e più si tentino spiragli d’evasione.

Pure il mattino, raggia di speranze

l’iride che s’anneghi nell’oro del sensibile

e v’indovini il fiato del divino.

Amai la vita − era di primavera −

con cuore di sorgiva

e di tutto abbandono,

finché il suo vento scuro non mi svelse

e sogni e fedi.

                       «Le acque chete rovinano i ponti»

dice un proverbio, e un altro:

«Che è causa del suo mal pianga sé stesso»...

Certo fui poco accorto o temerario,

e forse è giusto che non trovi scampo.

E se non lo è, lo sterpo qual io sono

può mai rigermogliare?

                                     Fa notte. Le stelle a sognare...

ma siamo stanchi... dormiamoci sopra...

ah prima di lasciarti consentimi ch’io ti ricordi:

«Pure il mattino, raggia di speranze

l’iride che s’anneghi nell’oro del sensibile

e v’indovini il fiato del divino».

 

 

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Vento di primautunno e altro vento 

 

 

Primautunno ventoso.

                                   E dal mattino

soffia dalle onde delle rocce estreme,

spazza nei cieli aperti la bianca fiorita di nuvole,

giù dalle alture gli alberi alquanto verdi

(poche foglie mulinano), urta i muri deserti

(un tonfo secco) si frantuma vortica

(qualche buffo s’insedia nelle crepe e vi geme)

e balza in cielo (un fischio a mezz’ogiva).

 

E da sempre altro vento

                                      sospende la vita sul vuoto:

dalla cortina di ferro prorompe,

si concreta nell’otre del fungo nucleare...

«L’absurdité grandit comme une fleur fatale»,

in quest’èra insaziabile di spazio,

dal numero di Mach vertiginoso,

dove il Nuovo di solito ha l’anima di Mòloch.

 

____

N.d.A.: Il v. 14, «L’absurdité... fatale», è di Emile Verhaeren (1855-1916). Al v. 16, il «numero di Mach»: è il rapporto tra la velocità di un corpo che si muove in un gas e quello del suono nello stesso aeriforme (se tale numero supera l’unità, si è nel campo delle velocità supersoniche). Al v. 17, «Moloch», leggendaria divinità cananea che ebbe onore di vittime umane: simbolo di spietata, insaziabile distruzione.

 

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Silenzi

 

 

Silenzi attorti di smeraldi rami,

o voi scritti di storie − cupi gorghi −

dai cuori che s’aggirano riarsi

nel vostro abbraccio − ombrosa levità −,

paziente voce a voce io amo leggervi,

silenzi verdi di arabeschi rami...

E scopro come in fondo il mio non varii

dal grido di quegli occhi senza luce,

e a vivere riprendo nel rumore,

scritto di voi, silenzi, e nuovo amore.

 

 

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Opali

 

 

Il poeta dà in dono

parole timorate

scandite dal candore della pagina:

 

un grammo in più di cuore

che scava dalla vita − la propria, la vita del mondo −,

nodo di Salomone.

 

(I suoi canti non sono cristalli né rocce. Ma opali

che chiaroscurano quel grammo in più di cuore).

 

 

da "Opali", Edizioni "Le Madonie", Castelbuono, 1994
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